La tecnologia che fa la differenza. Abissale.

L’autentica spina dorsale di internet, ciò che ne garantisce il funzionamento, è costituita da cavi fisici, molto lunghi e molto grossi: la loro lunghezza complessiva è pari a 32 volte il giro della terra”

L’indispensabilità delle connessioni sottomarine

Quando si parla di infrastrutture di comunicazione, spesso si immaginano network di grande impatto, su tutti i satelliti, ma che in realtà non sono minimamente in grado di competere a livello di prestazioni con un’altra infrastruttura, giocoforza meno visibile, anche perché è completamente sommersa nei fondali degli oceani.

La quasi totalità (95%) delle comunicazioni globali passa infatti per le connessioni fisiche sottomarine: stiamo parlando dei cavi sottomarini in fibra ottica che rappresentano di gran lunga il modo più veloce, affidabile e meno costoso per trasmettere enormi quantità di informazioni a grandi distanze. Un’esigenza che non è nuova, e che è cresciuta esponenzialmente in parallelo all’evoluzione tecnologica e all’avvento di Internet: i primi cavi per i collegamenti telegrafici risalgono infatti al 1850 (vedi box).

Dal telegrafo si è passati al telefono e ora ad Internet. La tecnologia contenuta nei cavi stessi ovviamente è progredita sino all’adozione della fibra ottica, molto più performante del rame. Oggi la lunghezza complessiva di cavi sottomarini sulla terra è pari a 3 milioni di km, equivalenti a 32 volte il giro della terra.

Quando navighiamo su Internet, usiamo le mail e i video in streaming in formato wireless attraverso wi-fi o 5G, in realtà utilizziamo l’ultimo miglio del worldwideweb: l’autentica spina dorsale di Internet, ciò che ne garantisce il funzionamento, è costituita da cavi fisici, molto lunghi e molto grossi, che attraversano il mare, l’oceano e collegano i vari server. La stragrande maggioranza del traffico di dati passa, infatti, attraverso i cablaggi che connettono i vari continenti né più né meno come avveniva alla fine dell’800 quando furono stesi i primi cavi transoceanici che collegavano l’America all’Europa. Ai satelliti è devoluto il compito – in condizioni normali – di trasmettere solo la restante percentuale, pari circa al 3-5%. Il “cloud”, il non luogo informatico che tutti immaginiamo essere “aereo”, si basa sulle connessioni sottomarine senza le quali il trasferimento e stoccaggio di dati sarebbe praticamente impossibile stante la mole di traffico attuale.La quasi totalità (95%) delle comunicazioni globali passa per le connessioni fisiche sottomarine

L’evoluzione tecnologica e le richieste di un mercato ad elevatissimo potenziale

Su questo mondo – letteralmente – sommerso, si sa molto poco. Uno degli aspetti più rilevanti, per esempio, è che si tratta di un settore di quasi totale appannaggio dei privati, almeno per quanto riguarda l’Occidente.

Al di là delle considerazioni geopolitiche e di sicurezza, questa situazione è un legato storico dello sviluppo di queste infrastrutture: da sempre, il settore dei cablaggi sottomarini è quasi oligopolistico. Pochi e grandissimi player integratori fornivano alle grandi TelCo mondiali e/o ai soggetti pubblici infrastrutture “chiavi in mano” che comprendevano la posa dei cavi, i cavi stessi, gli amplificatori, etc.

I cavi venivano affittati, nell’era di Internet, dalle compagnie di comunicazione ai grandi player globali quali Google, Microsoft, Amazon e Facebook. In poco tempo gli stessi colossi digitali hanno iniziato a costruire e posare essi stessi i cablaggi per monitorare e migliorare tempestivamente le performance: a partire dal 2016 c’è stato un vero e proprio boom di posa di cavi da parte di questi top player. A farla da padrone è proprio il motore di ricerca più famoso del mondo con più di 100mila chilometri di cavi posati, a seguire Facebook con 91mila, Amazon con 30mila e Microsoft con seimila.

Sono queste aziende i cosiddetti Hyperscaler che, da soli, possiedono o affittano più della metà della banda sottomarina globale. Il loro status di proprietari diretti ha determinato un’accelerazione del processo di sviluppo del sistema dei cavi sottomarini, aprendo un mercato dove si stanno riversando miliardi di investimenti e sul quale si affacciano, compatibilmente con i veti delle amministrazioni USA, ma spesso proprio in partnership con aziende USA, anche colossi asiatici come Huawey o China Mobile, che stanno sviluppando progetti come il Pacific Light Cable Network che collegherà Los Angeles a Hong Kong.

Un mondo in crescita vertiginosa e con esigenze prestazionali sempre più sofisticate: i fattori di rischio cui sono esposti questi cavi che corrono per migliaia di km sul fondo dei mari sono infatti molteplici: dalla pressione dell’acqua che ne rallenta le prestazioni, agli incidenti legati a terremoti o addirittura ai morsi degli squali, senza contare interventi di natura antropica anche dolosi (esistono flotte di sommergibili in uso a tutte le superpotenze specializzate, se necessario, nel sabotaggio dei cavi). Un incidente a queste infrastrutture (ne sono già accaduti nei decenni passati) crea ripercussioni a catena terrificanti in un mondo che si basa sull’interconnessione e sulla velocità degli scambi di informazione: si è arrivati perciò ad ipotizzare anche la necessità di creare “dorsali di backup globali” (in pratica una ridondanza trasmissiva attraverso una rete alternativa di trasmissione dati).Per assicurarsi le tecnologie più avanzate, gli HyperScaler come Google e Facebook non si rivolgono più a soggetti che integrano tutto ma differenziano i fornitori affidando a diversi produttori pezzi diversi dell’integrazione e dello sviluppo delle componenti.

La proposta disruptive di Subphoton

L’ingresso dei colossi digitali ha determinato un approccio diverso alla catena di fornitura sparigliando le carte inducendo tutta l’industry a una frammentazione. Per assicurarsi le tecnologie più avanzate, gli HyperScaler non si rivolgono più a soggetti che integrano tutto ma differenziano i fornitori affidando a diversi produttori pezzi diversi dell’integrazione e dello sviluppo delle componenti.

Ed è esattamente in questo scenario dalle potenzialità quasi illimitate che si inserisce ora la proposta “disruptive”di Subphoton, startup tra le poche società al mondo ad operare nel settore dei cavi sottomarini in fibra ottica per le telecomunicazioni.

Fondata nel 2019 da senior manager provenienti dalla ex Pirelli Photonics, si propone come fornitore di amplificatori ottici ad alte prestazioni basati su due differenti piattaforme tecnologiche. In particolare, ha sviluppato una tecnologia che permette di amplificare il segnale che viene trasmesso attraverso questi, lunghissimi, cavi con un’efficienza maggiore. Grazie ai loro amplificatori, quindi, consentono di garantire una maggior quantità di dati trasmessa per singolo cavo con sensibile miglioramento delle prestazioni.

Subphoton ha sviluppato due tipologie di amplificatori: quelli a fibra ottica ad erbio (un componente che migliora le prestazioni) e quelli ottici a semiconduttore. Entrambi i dispositivi garantiscono l’incremento della portata dei cavi sottomarini elevandone le performance molto al di là di quello che è lo stato dell’arte oggi disponibile.

Parliamo quindi dell’ingresso di una tecnologia disruptive in un settore contraddistinto da pochi player. La fotonica è infatti considerata un elemento quasi “esotico” in questa industry, ma questo per la legacy molto conservativa intrinseca a questo ambiente, dominato per decenni da pochi grandissimi player integratori. Uno scenario che, come abbiamo visto, è completamente cambiato e permette l’ingresso di nuovi soggetti, anche di piccole dimensioni, in un mercato che altrimenti sarebbe decisamente inaccessibile.

 

Un team di valore

Subphoton offre dunque una proposta innovativa elaborata da uno dei punti di forza della startup, vale a dire il suo team, composto da founder non più così giovani, un dato in linea con le statistiche delle start up con maggiori probabilità di successo. Si tratta di persone che dispongono di una specifica expertise industriale nel mondo della fotonica per le telecomunicazioni. In particolare, il deus ex machina del progetto è Giorgio Grasso che è stato il direttore del laboratorio Pirelli Photonics e che ha guidato l’unità di Pirelli Photonics dalla sua nascita fino alla sua vendita e incorporazione in Cisco. Grasso ha quindi un’esperienza di circa 45 anni in questo campo, e gli altri membri del team facevano parte della sua squadra e anch’essi dispongono di una lunga e profonda esperienza nel campo della fotonica, oltreché di un grande affiatamento.