“Abbiamo sviluppato una macchina che vendiamo oramai in tutta Europa e che serve per la riabilitazione degli arti superiori di pazienti che hanno avuto un ictus”
In questo mondo – che ha degli inevitabili rimandi ai romanzi di Philip K Dick o ai cartoni animati giapponese degli anni ’70- si inserisce Wearable Robotics, nuovo ingresso nel portfolio di LIFTT.
A parlarci del suo focus, degli obiettivi di business e delle ambizioni di questa start up sono l’MD Lucia Lencioni e il Responsabile del Marketing e del Sales Fabio Piazza.
Com’è nata la vostra intuizione, in che cosa consiste e quali sono le applicazioni?
“Wereable – commenta Lencioni – nasce dal laboratorio di ricerca sulla robotica percettiva della Scuola Superiore Sant’Anna. Gli esoscheletri sono stati quindi da sempre, ormai da 30 anni, un ambito di ricerca del nostro laboratorio. Nel 2014 abbiamo deciso di sistemizzare tutte le attività e di dare vita a questa società. Abbiamo quindi acquisito dalla scuola il brevetto che ci permette di creare esoscheletri, vale a dire robot/macchine che si “indossano” e che permettono alle persone di fare dei movimenti oppure di aumentare le loro prestazioni. Quindi, di fatto, costruiamo, progettiamo e realizziamo esoscheletri. Il primo ambito per cui lo facciamo è quello biomedicale. Abbiamo infatti sviluppato una macchina che vendiamo oramai in tutta Europa e che serve per la riabilitazione degli arti superiori di pazienti che sono stati colpiti da un ictus. Sulla scorta di questa realizzazione abbiamo anche sviluppato alcuni prototipi, che presto industrializzeremo, e servono per la riabilitazione dell’arto superiore in diversi stadi della malattia. Partiamo quindi dalla malattia nella fase acuta, che trattiamo con la macchina che già commercializziamo, fino alla commercializzazione di una macchina molto più semplice che invece sarà utile ai pazienti in fase cronica e quindi ad uso domiciliare”.
“Un altro settore – prosegue l’MD – per il quale realizziamo esoscheletri è quello industriale, quindi il soggetto che lo indossa non è più un paziente ma un operatore, un addetto alla produzione, e parliamo in questo caso di personale normodotato. Qui la macchina serve a portare il carico al posto dell’operatore, per sgravare cioè l’operatore della fatica di spostare carichi continuamente. In questo ambito realizziamo esoscheletri a livello ancora di prototipo sia per l’arto superiore sia per l’arto inferiore, con diverse tipologie di carico e con diversi payload, da 5 a 40 kg. La macchina riesce a sgravare l’operatore dai 5kg fino ai 40 kg al massimo di peso sopportabile.”
“Si tratta di una commessa di ricerca – interviene Fabio Piazza – che ci è stata affidata da una grande azienda cinese e ci ha consentito di arrivare a definire uno stato avanzato di prototipazione di esoscheletri industriali.”
Cos’è quindi un esoscheletro e come funziona esattamente?
“L’esoscheletro – spiega l’MD – è in estrema sintesi una macchina, un robot, uno scheletro che viene indossato dalla persona e che appunto amplifica o aiuta i movimenti della persona”
“Si tratta di un robot indossabile – precisa Piazza – che sostituisce l’apparato muscolo-scheletrico in un soggetto che ha subito un trauma, essenzialmente neurologico al momento, ma probabilmente in futuro anche per altre tipologie di traumi. La macchina permette quindi a un paziente di fare dei movimenti che non sarebbe in grado di fare autonomamente. Questo in ambito medico, mentre in quello industriale amplifica la forza del soggetto, consentendo di trasportare pesi senza gravare sull’apparato muscolo-scheletrico. E’ un robot che viene “calzato” dalla persona.
Esiste un sistema di realtà virtuale che è già integrata nella tecnologia, è corretto?
“Si – risponde Lencioni – perché L’ALEx RS, il robot esoscheletrico che utilizziamo per la riabilitazione di persone che hanno avuto un ictus, è un robot bilaterale, che viene calzato cioè sia sul braccio destro sia su quello sinistro, aiutando contemporaneamente la riabilitazione di tutte e due le braccia e, inoltre, è interfacciato con un sistema di realtà virtuale che propone dei “serious game”, letteralmente dei giochi seri che aiutano l’engagement del paziente e quindi migliorano la possibilità di riabilitazione. Il paziente, infatti, viene invogliato a eseguire dei compiti che gli vengono proposti in forma ludico-ricreativa”.
“Vorrei sottolineare – aggiunge Piazza – che stiamo parlando di un’offesa, di un trauma di tipo neurologico, che non riguarda l’osso, l’apparato muscolare o l’apparato tendineo, ma le sinapsi del cervello che inviano un comando di movimento. Quindi oltre a rendere più piacevole o meno noiosa la ripetizione di un movimento integrata in una realtà virtuale che simula un gioco, c’è l’aspetto cognitivo, cioè il mettere in moto le capacità cognitive del soggetto che ha avuto una lesione neurologica. In questo modo si copre sia l’aspetto di movimento sia l’aspetto neurologico. Si tratta di un tema di grande rilevanza dal punto di vista medico, ed è infatti non a caso integrato solo nei dispositivi biomedici, non in quelli che supportano la movimentazione, dove il soggetto ha solo prospetticamente problemi di offesa all’apparato muscolo-scheletrico, quindi non necessita degli stimoli del “gaming” ma di un supporto.”
Si tratta di un aspetto fondamentale per la riabilitazione cognitiva del soggetto neuroleso.
“Si – conferma Piazza – ed è stato sviluppato tutto da noi internamente perché disponiamo di una grande competenza come laboratorio anche in sistemi di realtà virtuale, oltre che di esoscheletri. Abbiamo quindi combinato i due aspetti che abbiamo sviluppato in 30 anni di ricerca, insieme ai medici dell’ospedale Cisanello di Pisa che è un’unità neurologica con cui collaboriamo da quando abbiamo realizzato queste macchine.”
Il vostro team dispone di un solidissimo background. Potete raccontarcelo?
“Siamo cresciuti – risponde l’MD – nell’ambiente del laboratorio e della ricerca, siamo un team multidisciplinare, composto principalmente da ingegneri della scuola Sant’Anna con PhD, integrato da economisti e medici.”
“Le nostre competenze ci permettono – prosegue Piazza – di coprire sia gli aspetti di ingegneria meccanica, per quanto riguarda la progettazione degli arti robotici, sia di controllo dell’elettronica che riguarda gli arti robotici, sia di ingegneria informatica che riguarda tutta la parte di realtà virtuale che viene completata anche dal supporto di un grafico. Essendo un’azienda e non solo un laboratorio di ricerca, fanno parte del nostro team anche collaboratori con un’expertise strutturata in economia industriale e nella parte produttiva di supply chain e di gestione degli acquisti. Anche la componente finance è gestita da una risorsa che dispone di un background in multinazionali biomediche. Riusciamo quindi a completare l’aspetto gestionale e produttivo con le competenze integrate nei fondatori dell’azienda. L’obiettivo adesso è rafforzare la parte commerciale, strutturandola in aree territoriali e arrivando a controllare le attività che al momento sono gestite tramite distributori ed export manager. Dobbiamo anche migliorare gli aspetti produttivi ed operativi, efficientando l’assemblaggio e il controllo e di testing della macchina, indispensabile per rientrare in certificazioni biomedicali che sono molto stringenti.
Chi sono quindi i vostri clienti?
“Al momento – risponde Fabio Piazza – il nostro prodotto principale – che è ALEx RS- è l’unico dispositivo sul mercato mondiale che dispone di una configurazione bilaterale. Lo puntualizziamo perché nessuno dispone di una configurazione di prodotto e di performance di questo tipo, capace di coprire il 92% dello spazio di lavoro di un individuo sano, gestendo qualunque tipo di movimento. Per tutti questi vantaggi competitivi l’ALEx RS viene venduto a una cifra che varia tra 100mila ai 120.000 euro e può essere fornito anche in leasing. Ad utilizzarlo sono essenzialmente presidi clinici principalmente di natura privatistica, perché hanno la capacità di investimento e di gestione di una macchina di quel costo e di quella complessità. Inoltre sulla filiera che è in corso di sviluppo avremmo anche un dispositivo per la riabilitazione domiciliare, il cui costo sarà di circa 15mila euro e che potrebbe essere fornito anche a pazienti privati, magari in una forma di noleggio o leasing. Sulla parte industriale, gli esoscheletri sono particolarmente adatti a operatori logistici, piattaforme di distribuzione oppure aziende che hanno una continuativa raccolta di oggetti, di contenitori come ad esempio la raccolta porta a porta di rifiuti urbani.”
Un’ultima domanda un po’ più personale, visto che c’è una missione molto forte, di impatto, di una tecnologia che sicuramente migliorerà la vita delle persone, ecco. Come vi è nata questa vocazione, questa idea, la voglia di sperimentare in questo ambito?
“Abbiamo – a parlare è Lucia Lencioni – cercato di coniugare la tecnologia e lo sviluppo di tecnologie con qualcosa che migliorasse le condizioni delle persone, siano esse il paziente o l’operatore che deve sollevare carichi pesanti tutto il giorno”.
“La tecnologia che avevamo sviluppato in laboratorio – conclude Fabio Piazza – era “matura”: c’erano competenze ormai strutturate e vedendo anche cosa offriva il mercato internazionale in termini di riabilitazione robotica e di ausilio alla movimentazione, ci sembrava che potessimo dire la nostra in una maniera efficace. Va anche detto che la Scuola Sant’Anna ha sempre favorito moltissimo la “gemmazione” di aziende. È un’Università che conta 600 persone e 6 facoltà. Si tratta quindi di una realtà molto piccola, che però è riuscita a dare vita a oltre 40 aziende spin-off nel corso della sua esistenza. Quindi abbiamo potuto contare su una sensibilità e su un supporto che sono stati fondamentali, consentendoci di disporre fin dall’inizio di una sede di 150 metri quadri dove dovevamo pagare solo le utenze, e favorendoci in tutti i modi possibili. E questo è accaduto non solo a noi, ma a tutte le attività che hanno attivato il processo di trasferimento tecnologico”.